Massimo Cacciari è forse la personalità che meglio interpreta in Italia il ruolo di sapiente in senso classico. Filosofo di professione è stato impegnato in politica, a livello centrale come parlamentare e amministrativo come sindaco di Venezia, la sua città. Tutt’ora è presente nel dibattito culturale e politico attraverso molteplici strumenti di comunicazione. Si è interessato, in modo non occasionale, di critica d’arte figurativa, spingendo la riflessione estetica fuori dall’ambito tradizionale della filosofia per esplorare l’esperienza propria dell’artista, nella sua fattualità e nell’esito della stessa.
Nel 1983, su “Il Centauro”, era apparso un suo saggio dedicato all’opera complessiva di Vincent Van Gogh. Il testo viene oggi ripresentato dall’editrice Morcelliana, ampiamente rivisto sotto l’aspetto formale e corredato di un apparato iconografico molto ricco, con il titolo Van Gogh, Per un autoritratto, 160 pagine e 42 illustrazioni, 20 euro.
Cacciari dà per scontata nel lettore una conoscenza abbastanza puntuale della biografia del pittore, delle sue difficoltà di inserimento sociale, delle turbe mentali, del rifiuto che la sua opera incontrò durante tutta la vita dell’artista, tanto che nessuno dei quadri da lui prodotti fu mai acquistato, della durezza delle esperienze di autolesionismo e di tentato suicidio, delle circostanze non del tutto chiare della morte, nel 1890, ad appena 37 anni.
L’attenzione del filosofo abbraccia l’intera opera di Van Gogh, conosciuto dal grande pubblico soprattutto per i dipinti visionari della piena maturità artistica, realizzati negli ultimi anni di vita: celebri in particolare i girasoli, gli autoritratti e i cieli notturni affrontati con sguardo quasi psichedelico.
Oltre la metà del libro è dedicata invece alle opere e ai temi che si possono considerare giovanili, meno conosciuti dalla critica e soprattutto meno apprezzati dal mercato. Si tratta dei ritratti di contadini e dei gruppi di donne e uomini al lavoro, delle nature morte e delle paia di scarpe. Van Gogh continuò a dipingere questi soggetti fino al periodo della crisi del 1887 che ne modificò lo stile fino alla maturazione cromatica e formale che gli consentì di realizzare nel giro di due anni un numero elevato di quei capolavori per i quali è giustamente famoso. Tra di essi, nel giugno del 1888, il Campo di grano con seminatore citato di recente da papa Leone XIV.
Anche se l’attenzione di Cacciari per la cronologia della produzione appare relativa, di notevole interesse è l’inserimento nella panoramica di alcuni quadri realizzati nel periodo di maggior felicità espressiva ma meno noti, ispirati alla produzione di Eugène Delacroix, pittore romantico celebre per il suo La libertà che guida il popolo del 1830 e a Rembrandt. Si tratta di tre tele a tema religioso, una Deposizione e un Buon Samaritano, colto il secondo nel momento nel quale abbraccia la vittima dell’aggressione e la solleva per metterla sulla propria cavalcatura, e di una Resurrezione di Lazzaro, definita “sconvolgente” anche per la soluzione cromatica. La loro realizzazione è situata nel 1889 e 1890.
All’epoca della scrittura del saggio, Cacciari non aveva ancora sviluppato appieno l’attenzione che ha manifestato in seguito per la pittura di carattere sacro, come nella puntuale analisi intitolata Tre icone, che comprende una riflessione sul tema trinitario celebrato da Andrej Rublev. Questo fa sì che i tre quadri a soggetto sacro presi in considerazione siano inseriti nel capitolo dedicato ai Colori. In esso i riferimenti sono tutti a opere successive al soggiorno parigino di Van Gogh, del 1886, durante il quale il pittore ebbe modo di incontrare il movimento impressionista, dal quale trasse il gusto per l’en plein air, il rapporto diretto con la luce all’aria aperta, senza però accogliere la ricerca parallela che veniva svolta sulla scomposizione e ricomposizione dei colori.
Se Cacciari decidesse di concentrare l’attenzione sulle tele di Van Gogh a tema religioso in quanto tali ne risulterebbe con sicurezza un testo di grande interesse.
Sergio Valzania