Scrivere un libro a quattro mani richiede grande senso della misura e notevole capacità d’intesa. Affrontare in coppia un testo complesso e impegnativo come la Genesi in uno scritto dalle dimensioni contenute richiede inoltre un notevole ardimento e una consapevolezza davvero ragguardevoli. Haim Baharier ed Erri De Luca hanno tentato l’impresa e sono riusciti a ottenere un risultato sicuramente interessante in La Genesi, Feltrinelli, 158 pagine, 15 euro.
La divisione dei compiti tra gli autori è chiara. De Luca svolge il ruolo di narratore e per farlo ha scelto un punto di vista molto particolare: ciascuno dei dodici capitoli nei quali il libro è scandito, ed è evidente che il numero non è affatto casuale, si apre con la narrazione di uno degli eventi maggiori della storia dei rapporti fra Dio e il popolo eletto fatta da qualcuno che ne è stato testimone oculare.
L’esperienza insegna che non c’è occasione che non sia osservata da qualcuno che possa riferirla. Approfittando di questo dato d’esperienza De Luca convoca a raccontare i fatti figure minori, appartenenti alla servitù dei patriarchi con incarichi umili, così che gli episodi biblici assumono un tono domestico, non ufficiale, e vengono narrate accompagnate da espressioni di stupore, di meraviglia, di apprezzamento nei confronti delle azioni compiute da Abraham, Itzhàq, Yaaqob e Yoseph.
La grafia dei nomi di Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe e degli altri protagonisti delle vicende bibliche cerca infatti di mantenere i suoni della lingua originale, con un misto di filologico e di reverente nei confronti dei commenti agli eventi apportati da Haim Baharier, sulla base della tradizione di quello che alcuni definiscono il Nuovo Testamento ebraico, ossia i testi rabbinici dei primi secoli della diaspora, Midrash, Mishnah e Talmud. Moltissimi gli spunti di grande interesse, capaci di aprire spazi interpretativi insoliti per il contesto cristiano.
Apprendiamo quanto sia importante la vigna nella tradizione ebraica. A bordo dell’Arca, Noè avrebbe custodito in uno scrigno i semi dell’uva in modo da poter piantare una vigna appena sbarcato. Mentre in tutte le altre narrazioni orientali il diluvio compare come un evento di devastazione, la Genesi lo presenta nella forma di strumento per la salvezza, e proprio in questo atteggiamento consiste la sua novità assoluta. La vigna, insieme al candelabro a sette braccia, la Menorah, è il simbolo di Israele e un maestro talmudico arriva ad affermare che l’albero proibito del Paradiso Terrestre fosse in realtà una vite.
Baharier racconta anche che, secondo la Qabalah, Adamo era stato creato senza prepuzio, la circoncisione sarebbe quindi la ricostituzione di una condizione originaria perduta. Di Abraham invece ci fa sapere che dopo la morte di Sarah, madre di Itzhàq, il patriarca si risposò con Ketora, che secondo la tradizione altri non sarebbe che Agar, con la quale aveva già generato Ishmael su istigazione della stessa Sarah.
Significative le riflessioni sulla Shekhinah, definita come la Clamorosa Assenza divina, che tra l’altro segue nel suo esilio Yaakob/Giacobbe, in fuga dall’intento vendicativo del fratello Esaù dopo l’episodio della benedizione da primogenito carpita a Isacco. Attraverso la Shekhinah Dio si manifesta e nello stesso tempo si cela quando accompagna il patriarca al di fuori della Terra Promessa, accettando e anzi realizzando così una silenziosa verifica etica del proprio rapporto con la discendenza abramitica.
Sergio Valzania