Anatomia letteraria

Vittorio Lingiardi è persona di ottime letture. Lo si capisce leggendo il suo ultimo libro Corpo, umano, Einaudi, 288 pagine, 20 euro. Fin dalle prime pagine si scopre anche che la sua poetessa preferita è Emily Dickinson, della quale tiene l’opera omnia sul comodino e i cui versi ricorrono nel testo.

“Il cuore chiede piacere – prima / poi- risparmio di dolore / poi- quei piccoli calmanti / che ottundono la sofferenza”, leggiamo infatti queste parole della Dickinson già nella prima pagina del capitolo dedicato al cuore, organo del corpo umano, senza in mezzo la virgola che definisce il titolo del libro, con il quale si apre la rassegna anatomica che lo costituisce.

L’opera di Lingiardi ha infatti la forma, o almeno il profilo, dei florilegi medievali, nei quali monaci di letture per l’epoca sterminate raccoglievano con pazienza letteralmente certosina il meglio dei testi che avevano avuto modo di consultare, se non di copiare.

Ciascun autore escogitava una modalità di organizzazione del materiale collazionato propria e, in questo orizzonte, appare normale, quasi d’obbligo, che Lingiardi, medico psichiatra e psicoanalista elegga le varie componenti della figura umana a protagonisti della rassegna che va componendo.

Non bisogna però farsi trarre in inganno dalla semplicità essenziale, lineare, del progetto. Lo sviluppo è ben più articolato della struttura di base. Se un’attribuzione di stile va fatta per Corpo, umano, essa va diretta verso il barocco piuttosto che il gotico. Lo provano perfino le parole conclusive, che in questo tipo di opere hanno valore programmatico: “Noi siamo un corpo che, vivendo, muore. Ma poiché oltre all’occhio, all’utero, al polmone, siamo uno sguardo, un neonato, un respiro, noi siamo il corpo che, morendo, vive”.

Una frase degna di Metastasio.

La struttura rigorosa è dunque avvolta da una decorazione ricca, quasi fastosa, alla quale viene ricondotto un sapere profondo e per niente disorganico. Gli autori citati sono così tanti che si possono ricordare solo i più insistiti. Dante, soprattutto, riferimento per tutti gli italiani e non solo. Poi James Joyce, l’Ulisse, presentato come se l’opera attuale si sviluppasse in parallelo con quella del dublinese, riferendosi alle parti del corpo e alla nascita della psicologia nello stesso tempo. Sigmund Freud e Carl Gustav Jung si affacciano di frequente, come c’è da aspettarsi, di solito per accenni.

A pagina 111, nel capitolo dedicato allo stomaco, una lunga citazione da La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda ricorda prima che “il pasto ideale dell’uomo giusto” dovrebbe consistere in “una mezza mela, una fetta di pane integrato”, mentre “il di più non è se non un gravame”, peggio ancora, “un nemico introdotto abusivamente nell’organismo, come i Danai nell’arce di Troja”.

Nella ricchezza della collazione di citazioni cogliamo l’atteggiamento snob di chi ci suggerisce che tutto quanto ha raccolto avrebbe potuto scriverlo lui, ma non ha voluto farlo. Non per pigrizia, piuttosto per eccesso di attivismo, dato che la ricerca è costata più di quanto lo sarebbe stato la scrittura diretta.

Che Lingiardi sia cultore del dettaglio, convocato ad esserne rivelatore, lo si comprende anche dalla cura con la quale sono scelte le illustrazioni a colori che accompagnano il testo. Non solo mai casuali, ma sempre inserite nel punto giusto della pagina e accompagnate da richiami puntuali che ad esse rimandano.

La figura dell’uomo in copertina, a petto nudo, con le costole disegnate sulla pelle e la circolazione dei grossi vasi cardiaci dipinta addosso, in rosso e celeste, è stata selezionata con attenzione. È tratto da una tavola anatomica del 1908 circa e ricompare ad accompagnare il testo in due occasioni, per i polmoni e i reni, sempre con la tecnica esplicativa dell’interno sovrapposto all’esterno.

Sergio Valzania